La parmigiana è donna.

Silenzio. Lasciatemi in silenzio. E rido, neanche fossi pazza. Rido perché tutti credono che io abbia un problema. Le conferme o le sconferme le ricevo nella vita quotidiana. L’ultima fra le tante. Sulla panchina di Torre a Mare. Con la signora Maria. Era la grande serata dedicata al Festival delle Arti in una calda notte di luglio. Il marito l’aveva lasciata sola per andare a bere la birra e a parlare con qualche sconosciuto per trascorrere il tempo lontano da lei. Con il maglioncino di cotone rosa e la borsa stretta tra le braccia. Sulle cosce. Con lo stesso atteggiamento di una papessa che conserva il suo trono ovunque vada. Le ho chiesto di mantenermi il posto mentre scattavo qualche foto e poi ho iniziato a parlarle immaginando che non avesse tanta voglia di restare in silenzio.

Torre a mare


Ho cercato di metterla a suo agio. Di regalarle gentilezza e di farla sentire in piacevole compagnia. Maria, 85 anni. Mi ha raccontato la sua storia di adolescente in fuga tra le spiagge pugliesi. Della sua difficoltà a fare le orecchiette. Di Torre Quetta. Delle strade facili per raggiungere la stazione centrale. Dei bus, dei percorsi accessibili per raggiungere il Salento. E poi è arrivata all’incrocio della compassione e della
comprensione quando mi ha parlato di sua sorella. Con tono delicato, intimidito. Si è avvicinata al mio orecchio e con ammirevole discrezione mi ha confessato:
“Anche mia sorella è come te, purtroppo ha il tuo stesso problema. Soffre poverina, per il mal di gambe.
Come si può restare in piedi con tutto quel peso addosso? E che possiamo farci figlia mia? Ognuno di noi nasce con la propria sventura. Siamo tutti destinati”.

Immaginatemi. Proprio quel sabato che mi sentivo una Diva con i miei 500gr in meno della prima settimana di Yes Monday mai interrotta. Dentro di me ho iniziato a ridere. Ma ho dovuto interpretare la parte della misericordia per conservare in lei una consapevolezza. Non avrebbe avuto senso il mio atto di gentilezza, quello scambio culturale, se avessi cambiato il “The end” del suo/mio dramma.


A me poi, piace parlare con tutti. Perché fondamentalmente non mi stanco mai del bel servito. Sono davvero pochi quelli che mi lasciano a digiuno. Inconsciamente me le vado a cercare affamata Partiamo però dall’inizio.


Nacqui in un piccolo paese della Puglia, lontana da ogni spiraglio di Big City. Un piccolo villaggio ai confini con il dispiacere collettivo quotidiano che, per ironia della sorte, si chiama Gioia. Gioia del Colle. In provincia di Bari.


La mia infanzia la ricordo poco, ma alcuni elementi che ho tatuato sulla mia pelle sono le lasagne di mamma, i vassoi stracolmi di cotolette dorate, polpette al sugo. Le mozzarelle e le burrate del sabato, le tavolate in famiglia con gli amici di famiglia. Le montagne di piatti che mi toccava lavare e la casa di barbie
che non ho mai avuto, ma ho sempre desiderato. Pur sapendo che mai ci sarei entrata. A differenza delle mie cugine che erano tutte magrissime e gli era concesso fare quell’errore. Loro si sentivano più proprietarie del castello che Barbie in cerca di identità.
Le mie barbie poi, sono sempre state belle e proibite, dovevano rimanere nelle loro scatole madri, a fare da arredo. Mia madre diceva che ero disordinata e mi lasciava giocare con quelle che ormai avevano vita breve

perché altrimenti le avrei distrutte. Avevo forse già fonti di rabbia nei confronti delle donne diverse da me?
Oppure con il tempo, sono diventata una rivoluzionaria, proprio perché ho sempre desiderato farle uscire da quegli involucri di plastica.
Fin da piccola amavo far vivere loro la vita da casalinghe, baciavano i loro ken, anche se le tradivano. Avevo già assimilato la visione delle relazioni aperte o sfigate. Questo non posso scriverlo con chiarezza.
Il ricordo più rapido che mi fa pensare ai miei genitori felici è una domenica.


Avevo 7/8 anni. Mia madre e mio padre erano usciti per andare a messa. Io mi trasformai in donna.
Scendendo dal letto. Imitando mia madre. Nei film le bambine aprono gli armadi e indossano i tacchi. Io no.
Io aprii il frigorifero e indossai un grembiule.
Sugo. Melanzane fritte. Sudore. Tanta fatica in poche ore. Volevo conquistarli.
Al rientro Pasquale e Dina trovarono la tavola imbandita, la cucina pulita, i piatti lavati, e la parmigiana pronta.

Un capolavoro – esclamava mio padre. Mia madre era felice come se avessi portato a casa il premio Nobel.

L’avevo alleggerita e l’avevo imitata.


Mio padre anche lui, mi guardava come se fossi diventata una signorina. E la gioia rimase in casa per tutta la giornata. Avevo fatto il compito migliore della settimana e nessuno avrebbe potuto impedirmi di fare il bis e di mangiarne quanta ne volessi.